L’innovazione fattore determinante per le imprese
La finanza agevolata, branca della finanza aziendale, cerca di contribuire a canalizzare fondi di finanziamento, principalmente europei, alle imprese. Oramai da qualche anno la finanza agevolata ha subito un cambio di paradigma in termini innovativi, focalizzando i bandi per l’ottenimento dei fondi di finanziamento per le imprese, alla presentazione di progetti legati all’innovazione aziendale.
Va sottolineato inoltre che molti dei fondi dei finanziamenti agevolati sono destinati in particolare alle start up e alle start up innovative. Sostanzialmente, quello che vorrei fare è parlare di innovazione, perché, da diversi anni a questa parte. la finanza agevolata si è spostata sempre di più nel canalizzare fondi, che abbiano una valenza innovativa.
In questa piccola panoramica, veramente molto breve, vorrei tentare di far capire qual è l’importanza dell’innovazione, la resistenza al cambiamento, qual è lo scenario economico in cui ci muoviamo, cos’è l’innovazione, quali sono i suoi benefici e la sua diffusione e anche il collegamento tra le startup innovative e gli spin off.
Perchè l’innovazione? Sostanzialmente c’è un motivo molto semplice e molto pragmatico; l’innovazione, intesa come innovazione incrementale, quindi la creazione di categorie, è fruttuosa ed è sicuramente più remunerativa rispetto ai settori tradizionali. Un esempio: una nota azienda americana, che ha inventato il noto sistema delle “cialde”, attualmente fattura 3.8 miliardi, che è una cifra enorme. Perché noi consumatori siamo disposti ad usare delle cialde che sostanzialmente costano molto di più (un caffè con la cialda costa mediamente 50 centesimi in più rispetto al caffè con la moka)?
In realtà per tutta una serie di motivi legati al nostro sistema di vita, quindi legato al fatto di poter fruire in maniera più veloce con un sistema nuovo. Quindi l’innovazione è qualcosa che ci coinvolge tutti; siamo immersi nell’innovazione. C’è uno studio del 2013 che vorrei citare e che è preso da uno degli ultimi numeri di Harvard Business Review, quindi dalla rivista Fortune, che analizza le migliori 100 aziende americane, in cui chi fa innovazione di tipo radicale è solamente il 13% del totale complessivo delle aziende.
Quindi fra gli imprenditori analizzati quelli che fanno innovazione radicale sono solo il 13%, mentre gli innovatori incrementali, quelli che adeguano sostanzialmente i loro prodotti al necessario cambiamento tecnologico sono l’87%. È interessante vedere che questo 13% però in valore assoluto comporta un 53% di incremento dei ricavi e il 74% dell’incremento di capitalizzazione; quindi ovviamente i numeri parlano in maniera piuttosto chiara.
Ci sono degli stereotipi legati all’innovazione, quindi anche un po’ di pregiudizi, che vanno affrontati e anche un po’ smentiti: quindi sostanzialmente che siano solo le startup a generare innovazioni radicali, che investire nell’innovazione costa troppo, e che il mercato è maturo, quindi sostanzialmente molte aziende pensano di avere un approccio tradizionale e una conoscenza dei loro clienti molto più tradizionalista rispetto a quello che è in realtà. Queste affermazioni sono abbastanza false e facilmente smontabili, basta pensare alla Apple, un’azienda che ha fatto dell’innovazione il suo trionfo e non è un caso che alla morte di Steve Jobs il prezzo delle azioni della Apple sia stato in calo verticale, però sostanzialmente la Apple ha introdotto ITunes, che è il mercato digitale di dischi e di libri che conosciamo tutti vent’anni dopo la sua costituzione. Sostanzialmente è sbagliato dire che solo le startup innovative portino innovazioni radicali e poi terminino il loro ciclo innovativo.
C’è bisogno di un incremento di innovazione continuo, di creare una Task Force, dedicata alla creazione di nuove categorie; è sostanzialmente questo che manca nelle imprese; manca un vero team dedicato all’innovazione radicale, mentre il management è dedito solamente al corretto ciclo di implementazione incrementale di efficienza. Poi c’è da sfatare questa affermazione che investire in innovazione costa troppo; anche questa è una cosa non corretta, ci sono degli studi, in particolare uno della Boston Consulting Group che afferma che solamente il 20% dei budget dell’impresa siano spesi in indagini strategiche, in studi lungimiranti del mercato e in ricerca e sviluppo.
Questo vuol dire sostanzialmente che l’ottica di molte aziende americane è sostanzialmente un po’ miope, quindi c’è come priorità e come percepito il sopperire alle esigenze di gestione piuttosto che pianificare nel breve e medio periodo.
La percezione generale è che i clienti siano tradizionalisti, ma anche questo non è vero. Un esempio classico di studio è quello della OralB, l’azienda della Procter & Gamble, che produceva spazzolini tradizionali e spazzolini elettrici; sostanzialmente il Management ha posto la questione di dover far fronte a una concorrenza molto aggressiva sulla parte degli spazzolini elettrici, che portava a ridurre i margini, quindi tagliare un pochino fuori la OralB, che è sostanzialmente un’azienda storica in questo settore.
Come si è risolta la situazione? La Procter & Gamble possedeva anche la Duracell, e si è creata una nuova categoria partendo da un posizionamento diverso strategico di mercato; quindi si è trovata una forma ibrida di mercato che soddisfacesse le esigenze di una fascia di clientela che non era avvezza allo spazzolino elettrico ma voleva qualcosa in più rispetto allo spazzolino tradizionale. Quindi è stato creato lo spazzolino a batteria, che sostanzialmente è una forma ibrida, e si posiziona anche come fascia di prezzo in una parte intermedia e ha avuto un ottimo riscontro.
Perché innovare in Italia? L’innovazione per noi è una questione vitale; l’Italia ha una storia di innovazione, di cultura, di scienza, di tecnologia, ha portato delle eccellenze nel campo industriale, se pensiamo alla meccanica, all’abbigliamento, all’arredo, però in questo momento è indispensabile parlare di innovazione anche in Italia. L’innovazione è qualcosa che non si conquista, ma va continuamente alimentata, quindi secondo studi ben più autorevoli della mia opinione, non bisogna solamente pensare al rigore sui conti pubblici, non bisogna solo investire in infrastrutture, non bisogna solo riformare le amministrazioni, ma bisogna generare un clima più ospitale per le imprese innovative.
L’Italia deve perciò diventare più ospitale e ovviamente deve pagare il prezzo dell’immobilismo, della rigidità, di una forma mentis che va abbandonata, quindi dobbiamo inserirci in una corrente un po’ più ampia che è una corrente di nuovo che investe buona parte dell’Europa.
E dobbiamo far capire anche ai giovani che il lavoro, oltre che cercarlo, elemosinarlo o andare all’estero, si può anche creare; creare un’opportunità per sé e per gli altri, perché le competenze possono trasformarsi da un’idea a un progetto concreto e generare così ricchezza e occupazione.
“Il non fare spesso costa molto di più del provare a fare”, questa è una frase di Keitler che cito spesso, quindi a creare delle iniziative. Dobbiamo farlo perché siamo in uno scenario diverso, non siamo più nell’epoca industriale in cui i fattori di lavoro e capitale erano determinanti, si potevano creare economie di scala, si poteva aumentare la valutazione di questi due fattori di produzione e pianificare; oggi siamo in un’economia diversa, siamo nell’epoca della conoscenza.
Le imprese nascono sostanzialmente da un’idea, da un team di fondatori e da un alto tasso di innovazione, quindi quello che si cerca sono mentori, capitali, incubatori per magari proporre un prototipo per un’idea o sviluppare un’iniziativa imprenditoriale. Vorrei dare una piccolissima definizione dell’innovazione: definire l’innovazione è qualcosa di complesso nel senso che anche la letteratura in materia è in continua evoluzione. A me piace molto una definizione di Kirtzner, che è un economista degli anni ’70, la propongo perché la sento molto mia, non per scolasticismo o altro: Kirtzner afferma che lo scopo dell’imprenditore è quello di dare un impulso attraverso il suo instancabile spirito di iniziativa a tutta l’economia. L’imprenditore, l’innovatore, è la forza motrice del processo dinamico che mette in moto il processo dell’economia evolutiva. Quindi, dall’immaginazione e dall’iniziativa scaturiscono le innovazioni, le nuove imprese che rompono gli equilibri pre-esistenti e permettono di generare profitti.
Schumpeter, un grande imprenditore a cui tutti facciamo riferimento, parlava di una cosa molto interessante che è la famosa distruzione creatrice: per lui l’innovatore è colui che distrugge e crea allo stesso tempo; quindi l’innovazione avviene come un lampo che rompe tutti i vecchi schemi e crea al contempo qualcosa di nuovo e mantiene questa innovazione per un certo arco di tempo. Come si vede, l’impulso iniziale è più forte perché chi porta l’innovazione ha un vantaggio competitivo rispetto a chi viene dopo e questo ovviamente genera anche dei profitti maggiori.
In questo ciclo ci sono poi i follower, quindi quelli che poi vanno ad imitare l’innovazione; questa è una cosa che possiamo vedere tutti i giorni partendo dalla Apple e da tutti i dispositivi che sono stati imitati sulla sua falsa riga. Nel processo di imitazione si perde la vis, la forza creativa dell’impulso dell’innovatore, quindi si va verso un appiattimento, si riducono i profitti e bisogna giungere ad un nuovo ciclo per portare una nuova innovazione.
Finirei con una considerazione: parlare di innovazione deve essere assolutamente la normalità, non parliamo di qualcosa di strano ma deve essere assolutamente una consuetudine; quindi le startup, e questo è stato espresso bene dalla legislazione in materia di finanza agevolata, devono parlare di innovazione. Io penso che questa possa essere una strada per farci uscire dalla crisi e dalla scarsa crescita ventennale della nostra economia.
Guido Massimiano (Partner Associate ICTLAB PA)